L'alienazione di beni patrimoniali, complice l'ampio ricorso a tale pratica in passato e la scarsa appetibilità degli immobili ancora di proprietà comunale, non produce più gli introiti auspicati.
La crisi del comparto edilizio, inoltre, ha portato ad una drastica riduzione degli oneri di urbanizzazione derivanti dai permessi di costruire.
In quale modo uscire da questa paralisi e provare a rilanciare gli investimenti?
Il Codice degli appalti (artt. da 179 a 191, Decreto Legislativo 50/2016) ci offre una opportunità: il partenariato pubblico privato.
Come desumibile dallo stesso termine, si tratta di una forma di collaborazione tra enti pubblici e soggetti privati, così sinteticamente strutturata:
- il Comune appalta la realizzazione di un'opera mediante il suddetto criterio, con affidamento diretto (sotto i 40.000 euro), procedura negoziata (tra 40.000 e 999.000 euro) oppure procedura ordinaria ad evidenza pubblica (sopra 1.000.000 euro), fatta salva la possibilità di ricorrere comunque a quest'ultima forma in ogni caso
- il contraente privato fornisce il capitale e provvede all'esecuzione dei lavori
- Comune e concessionario privato stipulano un contratto in cui si prevede la remunerazione dell'investimento, la quale può avvenire tramite il riconoscimento di un canone da parte dell'appaltatore, i ricavi derivanti dalla gestione del servizio pubblico, la cessione di beni immobili oppure un misto di tutte tre le cose.
Se utilizzato nel modo corretto, ossia indirizzando gli interventi al conseguimento di risparmi di spesa o alla produzione di rendite, questo strumento permette, nel breve periodo, di non espandere la spesa corrente e, una volta terminati gli ammortamenti, di avere maggiori disponibilità finanziarie.
Nel frattempo, la collettività avrebbe a disposizione i servizi e le utilità derivanti dalle opere realizzate.
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